Echi dalle danze del mondo ma anche le più contemporanee influenze europee si concentrano nell’originale ed elaboratissimo linguaggio coreografico di Raffaella Rossellini.
Balli al Madrigale
La felicità della danza in otto balli: arabesque, veloce, duello, tarantellato… Tre danzatrici provenienti da esperienze diverse, accompagnate da una partitura musicale originale del giovane compositore Corrado Fantoni.
con annalisa cardinali, simona lisi, rebecca murgi
musica corrado fantoni
scene umberto grati
Balocco / L’azzurro necessario
Il gioco, il sogno, la memoria, la narrazione del proprio mondo interiore è ciò che rende affascinanate e poetico il lavoro di questi due grandi interpreti della danza italiana.
balocco di e con giorgio rossi
l’azzurro necessario di e con raffaella giordano
scene e costumi francesco calcagnini
luci luca baraldo
La grenya de Pascual Picanya, asesor juridico-administrativo
Una esplosione di humour surreale, uno spettacolo straripante di invenzioni, divertente e provocatorio, concepito dal più geniale e iconoclasta compositore, showman spagnolo.
piano e regia carles santos
soprano uma ysamat
percussioni ramon torremillans
azioni sceniche maria elena roquè, barbara roig
direttore di scena pilar solà
luci josè luis alvarez
costumi e oggetti scenografici maria elena roquè
Charles
Charles è uno spettacolo ispirato alla vita ed al lavoro del compositore americano Charles Ives (1874-1954). Il lavoro di Ives, eccentrico e complesso, non ha facilitato al compositore il raggiungimento di una facile fama anche se resta di grande rilevanza musicale.
In Charles danza, musica e testo si fondono con naturalezza creando un’atmosfera di complicità e rilassata confidenza tra danzatori e musicisti che si scambiano sguardi e allegre chiacchiere con leggerezza e semplicità. Il tema della memoria anche in questo caso guida il lavoro di Beppie Blankert che è trattato con umorismo e grazia, mentre il ritmo diventa talvolta capriccioso e giocoso.
con fabian galama, john taylor
coreografia di beppie blankert
musica di charles ives
eseguita da charles van tassel, gerard bouwhuis
Rasoi
Dopo Partitura, testo ispirato al soggiorno napoletano di Giacomo Leopardi, ma soprattutto nostalgica litania di una tribù napoletana che rifiuta la modernità con una scelta di autodistruzione paragonabile a quella di altre leggendarie tribù del mondo, Enzo Moscato ritorna su questi stessi temi con Rasoi, una rapsodia composta da brevi brani inediti, meditazioni e frammenti su Napoli.
Sul palcoscenico rivelato da un sipario che anziché sollevarsi si ritira, come in un moto spontaneo di bassa marea, sfilano alcuni personaggi emblematici di una napoletanità offesa e negata, dallo scettico guappo alla Madonna di Procida, “mater immonnezzarum”, protettrice di un’umanità degradata e oltraggiata della quale ascolta la rabbia selvaggia.
Degrado dell’uomo e degrado della natura ricorrono nella poesia tagliente di Moscato, le cui parole arrivano come rasoi che fanno sanguinare mettendo a nudo una verità tragica e nobile, grande anche nel dolore.
Alla crudezza del verbo si oppongono illusoriamente le dolcissime melodie partenopee che pure non possono mascherare il canto del cigno di una città oltraggiata.
Il testo di Enzo Moscato, presente sul palcoscenico, trova nella regia di Mario Martone e di Toni Servillo, il guappo disilluso, una messa in scena che ne esalta il realismo lirico in un gioco scenico raffinatissimo.
testi di enzo moscato
regia di mario martone, toni servillo
con gino curcione, roberto de francesco, iaia forte, anotnio iuorio, licia maglietta, marco manchisi, enzo moscato, toni servillo, tonino taiuti
scena mario martone
costumi metella raboni
luci pasquale mari
suono daghi rondanini
allestimento scenico nando cirelli
produzione angelo curti
Canto ostinato
Canto ostinato è il titolo di una composizione del musicista olandese Simeon ten Holt che può essere realizzata da diverse combinazioni di strumenti a tastiera. In questo caso si tratta di quattro pianoforti.
A Polverigi l’esecuzione di Canto Ostinato è condotta da quattro musicisti con simili esperienze formative e musicali: Gerard Bouwhuis, Kees van Zeeland, Arielle Vernede e Gene Carl
musica di simeon van holt
eseguita al pianoforte da Gerard Bouwhuis, Kees van Zeeland, Arielle Vernede e Gene Carl
Canto Ostinato è stato presentato a Inteatro Festival nell’edizione del 1991
Terramara
Michele Abbondanza e Antonella Bertoni presentano questo spettacolo, Terramara, che indica letteralmente i “depositi a cumulo di terra grassa e nerastra, costituiti dagli avanzi di vaste stazioni preistoriche”. Il richiamo alla terra come humus naturale e originale è rievocato dai movimenti di danza delle due figure maschile e femminile custodi del rito generativo, del ciclo creativo della natura che congiunge il prima e il dopo e attraversa lo spazio rendendolo unico. Amore e lavoro, creazione e trasformazione, vengono narrati in un racconto astratto che enumera gli oggetti del dare la vita, creature di creature, vite di altre vite in una moltiplicazione che è atto d’amore e lavoro, inteso come trasformazione di corpi in altri corpi mediante strumenti e movimenti. L’eco della terra diventa memoria universale, catalogo dei suoni dell’uomo, dove non possono esistere confini e divisioni tra culture e paesi diversi.
Ad accompagnare questa rappresentazione del fluire più profondo della vita sono stati scelti i ritmi tradizionali ungheresi, indiani, rumeni e siciliani, insieme a brani di Bach e di autori contemporanei come Yared, offrendo una testimonianza del tempo… come memoria scomparsa, recuperabile solo attraverso simboli e segnali.
coreografia michele abbondanza
con michele abbondanza e antonella bertoni
immagini di lucio diana
musiche di J.s. bach, g. yared, s. bored
produzione festival drodesera
A girl skipping
In questo lavoro Graeme Miller, esplora due temi: l’infanzia e l’Inghilterra del dopo guerra.
Dalla prima scena, in cui una ragazzina è mostrata intenta a saltellare una corda, si aprono una serie di efficaci quadri scenici interpretati da una compagnia di grande talento.
Attraverso il gioco, i protagonisti scoprono la loro identità fisica, spirituale ed emotiva simulando il passaggio dall’adolescenza alla maturità e mettendo a nudo le aberrazioni e i fantasmi del mondo degli adulti.
In un crescendo di movimenti e suoni a rievocare un caos metafisico in cui gli uomini vagano in balia del destino, i macabri giochi ideati dal gruppo esprimono già nel delirio dei titoli il disagio del vivere.
L’azione si snoda con ritmo trascinante, testo e musica si fondono fino a creare un’opera piena di vita che incanta per umorismo ma anche per la felicità del gioco scenico.
con heather ackroyd, emma bernanrd, frank bock, graeme miller, liz kettle, barvaby stone
musica di graeme miller con david coulter
scene di graeme miller con heather akroyd
luci di stephen rolfe
suoni di chahine yavroyan
costumi di beth hardisty
regia di graeme miller
Io che non ho mani che mi accarezzino il viso
Si tratta di uno spettacolo nel quale il pubblico seguirà una serie di stazioni negli spazi del cortile ed adiacenti il cortile della villa di Polverigi. Nuovo spazio il pubblico si troverà così in un rapporto spaziale e umano con l’interprete ogni volta differente, secondo valori diversi di intimità o di estraneità.
Questa non convenzionalità di rapporto è suggerita dalla necessità da cui nasce questo lavoro. Necessità di testimoniare una resistenza.
Frigerio sceglie la figura un po’ anacronistica di un pretino di campagna come esempio di una motivazione profonda e per questo scomoda e incomprensibile.
Questa motivazione rappresenta oggi una forza. Al tempo stesso si tratta di un’esperienza che non entra nel campo dell’eccezionale, come quella dei santi o dei mistici, ma resta in quello delle cose quotidiane. Non è quindi la proposta di un eroismo individuale che si prefigge il rigore assoluto e l’isolamento, ma piuttosto quello di un’autodisciplina intellettuale e morale che fa i conti con la realtà.
La ricerca si svolge dunque nella dialettica tra questi due aspetti: il quotidiano, le cose della vita, il pelapatate per esempio, e la coscienza di un percorso che non lascia spazio alle probabilità.
Sul piano del linguaggio del movimento questo ha indotto un lavoro sull’energia. L’energia che genera forme chiare subito dopo provoca un processo di autodistruzione.
Emergere e affogare. Come dire netto e sfuocato.
Su questo terreno si è realizzato l’incontro con le foto di Giacomelli, per quella sua caratteristica di trasformare la figura in macchia informale, per quei suoi corpi in movimento che perdono i loro contorni (in particolare nel ciclo di foto realizzate in un seminario di preti del quale è stato tratto il titolo dello spettacolo), E anche per quella sua capacità di estrarre l’essenza formale dalla realtà (le nature morte).
Questo rapporto tra realtà e forma trova terreno fertile negli spazi naturali del cortile della villa di Polverigi, una sorta di set “verista” messo a confronto con un’esperienza che prima di tutto critica della verità.