Sulle rive del Po un uomo, ferito e inseguito, trova un attimo per riprendere fiato e ripercorre, incantato, il fiume, il filo della sua esistenza. Il fiume Po è per lui un luogo mitico, un angolo sacro dove ha vissuto, dove si ritrova e si riconosce. Cinto da un misero asciugamano, sulla scena, spoglia come lui, l’uomo monologa mentre sullo sfondo, proiettato, scorre il fiume tra la luce del tramonto e il buio della notte, tra il mutamento e la continuità. Scorre il fiume, scorrono le parole e le memorie, gli amori, le morti, alle persone care e quelle meno care… Fino all’epilogo tragicomico, inevitabile quando si affronta la vita.
Andare in oca significa, in dialetto parmigiano, incantarsi, cioè avere dentro il canto, e così accade all’uomo nel suo luogo mondo: egli esprime attraverso il canto, in forma di poesia narrativa “un qualcosa di lontano nel tempo e nel paesaggio che abbiamo vissuto… l’emozione nell’avvertire che qualcosa perdura, come l’esistenza di un luogo, il ricordo di un affetto, la vista di oggetti cari, la parola scritta.”