Iki

In Iki non c’è esibizionismo, ma impossibilità di essere; nessuna violenza, ma la crudeltà di un corpo che si erge al limite della sua distruzione e tenta disperatamente di ricostruirsi.
Questi sono i temi preferiti di questa danza delle tenebre: la mummia, lo stato fetale; o anche posture ereditate dal No: fianchi rientranti, tensioni corporee, lentezza dei gesti seguiti da movimenti violenti, volti trasformati in maschera grottesche, contorsioni che imitano gli atteggiamenti degli animali. Anche qui, l’attore è impegnato in un rito sacrificale che lo espone a una vera violenza, che deve essere frenata da un lavoro intenso e crudele, ma che può arrivare fino alla morte.

Festival 1983Ko Murobushi

Micropolis

Opera prima con 20 burattini. Tre artisti con otto tableaux in miniatura, ciascuno con sistemi audio e luminosi individuali. Gli uomini, le donne e le marionette degli animali avevano tutti il volto simile a quello dell’artista.

Festival 1983 – Theodora Skipitares

Eneide

Cosiderato uno degli spettacolo cult del teatro italiano contemporaneo, l’Eneide di Krypton è una vera e propria scossa di suono, voce e luce, attraverso l’immagine digitale e la tridimensiionalità del laser, con le sonorità techno-rock dei Litfiba – Beau Geste.
Un racconto fortemente contemporaneo che si misura con il tempo presente e indaga nuovi territori scenici e musicali, senza però tradire gli scenari e gli Dei del capolavoro virgiliano.

Festival 1983Krypton

Via Antonio Pigafetta, navigatore

Un personaggio impeccabile in piedi dietro un leggio presenta agli spettatori ciò che sarà oggetto di rappresentazione, il tutto viene esposto con giochi di parole e non-sense in un intreccio di situazioni paradossali e comicissime. Sullo schermo di un televisore appare il doppio del personaggio presentatore. Quest’ultimo interrompe lo spettacolo per trasmettere il notiziario del «telegiornale della notte», corregge e riprende più volte il suo sosia.
Tra i due nasce una lotta per avere il sopravvento sull’altro e la sfida si concluderà con l’eliminazione fisica di uno dei due.
Introdotto dal presentatore e dal replicante entra in scena un terzo personaggio.
E un personaggio stralunato che si muove in una dimensione di sogno. Intorno a lui strani oggetti che si muovono in modo irreale. Quest’ultimo personaggio esprime, rispetto agli altri due, una comicità più basata sul gesto e sugli strani oggetti con cui gioca.

Festival 1983Paolo Hendel

Cuori strappati

Cuori strappati, un capolavoro di grazia e di nonsense, che suggella in maniera esemplare, e in qualche modo irripetibile, il perfetto affiatamento e la maturità raggiunti dal gruppo. Il titolo non deve trarre in inganno: in questo camaleontico e coloratissimo puzzle non c’è posto per la tragedia o sofferte lacerazioni sentimentali, ma una gioiosa e vitalissima reinvenzione di forme giocate sul filo di un onirismo di marca surreale dove il gioco degli sdoppiamenti e delle metamorfosi costituisce l’elemento trainante della rappresentazione. Dopo una splendida apertura su una nota notturna siglata da una cortina di acqua scrosciante e l’apparizione di un sipario-membrana da cui cerca faticosamente di fuoriuscire il corpo di un attore, quasi a suggerire l’idea di una nascita, lo spettacolo si accende delle tinte forti di una solarità mediterranea trasferendosi nel cuore di una città da operetta dove blocchi di costruzioni coloratissime, punteggiate di piattaforme, scalette e porticine sbilenche sostituiscono il paesaggio boschivo che regnava negli spettacoli precedenti. Mediando con la pratica dell’installazione, La Gaia Scienza delimita per la prima volta lo spazio scenico con quinte e fondali, ma lo fa alla sua maniera, sconvolgendo le tradizionali convenzioni teatrali per creare ancora una volta una dimensione ubiquitaria basata sulla pluralità dei punti di vista. Lo spazio scenico creato da Alessandro Violi è una grande macchina spettacolare che dissacra l’inamovibilità della scatola scenica, dando luogo ad un continuo mutare a vista delle coordinate spaziali, ad un ruotare di piani prospettici che si aprono, si chiudono, si squadernano, si ricompongono come i tasselli variopinti di un gigantesco gioco di costruzioni. La metamorfosi spaziale è coadiuvata dall’inserto sapiente di filmati che cooperano con spostamenti incongrui ad alimentare un clima straniante di sconfinamenti tra interno ed esterno, tra illusione e realtà. La scena diviene così il perno intorno cui ruota tutta la rappresentazione: una scena che non è più semplice sfondo, ma un elemento attivo che coadiuva gli interventi dell’attore ed entra sovente nell’azione con ruolo di protagonista o di comprimaria. Da una parte essa costituisce una sorta di trampolino per le temerarie acrobazie degli attori che danzano su passerelle sospese sul vuoto, si arrampicano o scivolano lungo le pareti, giocano a rimpiattino tra porte e finestre in un forsennato andirivieni, una ridda frenetica di apparizioni e sparizioni. Per un altro verso, riprendendo alcune soluzioni già sperimentate ne Gli Insetti preferiscono le ortiche, si assiste ad una sorta di pareggiamento tra l’attore e la scena che sì scambiano reciprocamente le parti. Se la scena segue strettamente l’evolversi della vicenda teatrale, animandosi in relazione ai movimenti dell’attore o addirittura sostituendosi ad esso, divenendo dramatis persona, l’attore dal canto suo tende, in alcuni casi, a rinnegare la componente umana e a trasformarsi in oggetto, in una poltrona carnivora, in un paralume semovente o nel tronco rugoso di un albero, riservando per sé il compito di animare nascostamente dall’interno la forma plastica. Scandita da continui “colpi di scena”, la rappresentazione mantiene un ritmo serratissimo dal l’inizio alla fine. Sorretti da una base sonora intensa e struggente creata per l’occasione dai Tuxedo Moon, gli attori si prodigano senza risparmio di energie, dando vita ad un repertorio di personaggi stralunati e bislacchi, ad una girandola di situazioni paradossali dove a momenti di trasognata concentrazione si alternano gioiose esplosioni di vitalità collettiva. Il linguaggio del corpo viene esplorato in tutta la gamma delle sue possibilità espressive: gli attori danzano e recitano, si esibiscono in prodezze acrobatiche e numeri di destrezza, a metà tra i clown e i giocolieri, percorrono lo spazio in tutte le direzioni, non trascurando, all’occorrenza, di richiamarsi alla gestualità meccanica e sincopata di una marionetta. Con un gusto ludico della trasformazione La Gaia Scienza gioca sulla contaminazione di registri diversi, cultura alta e matrici popolari, risolvendo in una scrittura scenica unitaria, perfetta per scansione dei tempi e forza trascinante di impatto, tutto il tracciato delle esperienze precedenti filtrata alla luce di una sensibilità post-moderna. Cuori strappati conclude così in bellezza il ciclo di ricerca che il gruppo romano aveva iniziato in collettivo nel lontano 1976.

di e con Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari, Irene Grazioli, Guidarello Pontani, Alessandra Vanzi
luci e scene di Alessandro Violi
costumi di Claire Longo
grafica di Beatrice Scarpato
brani musicali di Wiston Tong, Bruce Gedulding, TuxedoMoon
organizzazione Massimo Pasquini
ingegneria del suono Ennio Fantastichini
realizzazione tecnica delle scene Aldo Fornari
sartoria Antonietta Fornari
il vestito di parole è di Gianni Dessi
gli oggetti di Mida sono di Giuseppe Gallo
ufficio stampa Anda Fabrizi
rappresentazione computerizzata della scenografia realizzata da Michele Böhm
il costume de Il vento indossato da Irene Grazioli è disegnato da Gianni Dessi

Festival 1983La Gaia Scienza