Cuori strappati, un capolavoro di grazia e di nonsense, che suggella in maniera esemplare, e in qualche modo irripetibile, il perfetto affiatamento e la maturità raggiunti dal gruppo. Il titolo non deve trarre in inganno: in questo camaleontico e coloratissimo puzzle non c’è posto per la tragedia o sofferte lacerazioni sentimentali, ma una gioiosa e vitalissima reinvenzione di forme giocate sul filo di un onirismo di marca surreale dove il gioco degli sdoppiamenti e delle metamorfosi costituisce l’elemento trainante della rappresentazione. Dopo una splendida apertura su una nota notturna siglata da una cortina di acqua scrosciante e l’apparizione di un sipario-membrana da cui cerca faticosamente di fuoriuscire il corpo di un attore, quasi a suggerire l’idea di una nascita, lo spettacolo si accende delle tinte forti di una solarità mediterranea trasferendosi nel cuore di una città da operetta dove blocchi di costruzioni coloratissime, punteggiate di piattaforme, scalette e porticine sbilenche sostituiscono il paesaggio boschivo che regnava negli spettacoli precedenti. Mediando con la pratica dell’installazione, La Gaia Scienza delimita per la prima volta lo spazio scenico con quinte e fondali, ma lo fa alla sua maniera, sconvolgendo le tradizionali convenzioni teatrali per creare ancora una volta una dimensione ubiquitaria basata sulla pluralità dei punti di vista. Lo spazio scenico creato da Alessandro Violi è una grande macchina spettacolare che dissacra l’inamovibilità della scatola scenica, dando luogo ad un continuo mutare a vista delle coordinate spaziali, ad un ruotare di piani prospettici che si aprono, si chiudono, si squadernano, si ricompongono come i tasselli variopinti di un gigantesco gioco di costruzioni. La metamorfosi spaziale è coadiuvata dall’inserto sapiente di filmati che cooperano con spostamenti incongrui ad alimentare un clima straniante di sconfinamenti tra interno ed esterno, tra illusione e realtà. La scena diviene così il perno intorno cui ruota tutta la rappresentazione: una scena che non è più semplice sfondo, ma un elemento attivo che coadiuva gli interventi dell’attore ed entra sovente nell’azione con ruolo di protagonista o di comprimaria. Da una parte essa costituisce una sorta di trampolino per le temerarie acrobazie degli attori che danzano su passerelle sospese sul vuoto, si arrampicano o scivolano lungo le pareti, giocano a rimpiattino tra porte e finestre in un forsennato andirivieni, una ridda frenetica di apparizioni e sparizioni. Per un altro verso, riprendendo alcune soluzioni già sperimentate ne Gli Insetti preferiscono le ortiche, si assiste ad una sorta di pareggiamento tra l’attore e la scena che sì scambiano reciprocamente le parti. Se la scena segue strettamente l’evolversi della vicenda teatrale, animandosi in relazione ai movimenti dell’attore o addirittura sostituendosi ad esso, divenendo dramatis persona, l’attore dal canto suo tende, in alcuni casi, a rinnegare la componente umana e a trasformarsi in oggetto, in una poltrona carnivora, in un paralume semovente o nel tronco rugoso di un albero, riservando per sé il compito di animare nascostamente dall’interno la forma plastica. Scandita da continui “colpi di scena”, la rappresentazione mantiene un ritmo serratissimo dal l’inizio alla fine. Sorretti da una base sonora intensa e struggente creata per l’occasione dai Tuxedo Moon, gli attori si prodigano senza risparmio di energie, dando vita ad un repertorio di personaggi stralunati e bislacchi, ad una girandola di situazioni paradossali dove a momenti di trasognata concentrazione si alternano gioiose esplosioni di vitalità collettiva. Il linguaggio del corpo viene esplorato in tutta la gamma delle sue possibilità espressive: gli attori danzano e recitano, si esibiscono in prodezze acrobatiche e numeri di destrezza, a metà tra i clown e i giocolieri, percorrono lo spazio in tutte le direzioni, non trascurando, all’occorrenza, di richiamarsi alla gestualità meccanica e sincopata di una marionetta. Con un gusto ludico della trasformazione La Gaia Scienza gioca sulla contaminazione di registri diversi, cultura alta e matrici popolari, risolvendo in una scrittura scenica unitaria, perfetta per scansione dei tempi e forza trascinante di impatto, tutto il tracciato delle esperienze precedenti filtrata alla luce di una sensibilità post-moderna. Cuori strappati conclude così in bellezza il ciclo di ricerca che il gruppo romano aveva iniziato in collettivo nel lontano 1976.