La solitudine è un aspetto costituente del mestiere del pastore. Gli permette un’immersione interiore totale, un lieve allontanamento dal visibile. I suoni udibili si assorbono in un nuovo silenzio, i pensieri si formano in modo assoluto. Gli animali da custodire diventano l’unica possibilità di astrazione dal sé, di cura o di affetto. Quando i pastori cantano, per intonarsi imitano il vento o il belato della pecora o della mucca. E attraverso la poesia cantata trasmettono una storia passata, tramandando la cultura in modo orale generazione dopo generazione.
La risalita lungo il tempo però non abbandona la realtà attuale, si distacca solo dal mondo visibile.
La storia che i pastori poeti cantano si potrebbe intendere come un tentativo di decifrazione dell’invisibile, che avviene attraverso una discesa nel sé, una geografia del soprannaturale.
COREOGRAFIA, CON Teodora Castellucci MUSICHE Demetrio Castellucci ASSISTENZA ALLA COREOGRAFIA Agata Castellucci DRAMMATURGIA Vito Matera COSTUME Guoda Jaruseviciute PRODUZIONE Societas CON IL SOSTEGNO DI progetto MUSE/ compagnia B IN COLLABORAZIONE CON Festival Danza Urbana e Festival Città delle Cento Scale