Fabre è un artista visivo, promotore di una ricerca artistica tesa ad oltrepassare le barriere espressive.
Dopo aver studiato all’Istituto di Arti Decorative e Belle Arti e all’Académie royale des Beaux-Arts d’Anvers, all’inizio degli anni ’80 dirige ad Anversa i suoi primi spettacoli: Theatter geschreven met een K is een kater e This is theatre like it was to be expected and foreseen (Questo è teatro come ci si doveva aspettare e prevedere), spettacolo che, soprattutto per la sua lunga durata, (otto ore, dal tramonto all’alba), colpisce il pubblico e gli procura un’immediata notorietà. Nel 1984 presenta alla Biennale di Venezia The power of theatrical madness (cinque ore) che connota ancora più chiaramente il suo stile eccessivo e “crudele”, e conferma la tendenza totalizzante e interdisciplinare della sua ricerca. Alla rassegna Documenta 8 di Kassel propone la prima coreografia per Dance Sections, preliminare alla realizzazione di Das Glas im Kopf wird vom Glas, presentato nel 1987 al Roma-Europa Festival. Seguono Prometheus Landscape (1988), The interview that dies, The Palace at four o’clock in the morning, The reincarnation of God, (1989), The sound of one hand clapping, quest’ultimo basato su frammenti musicali di Dave Knapik, Bernd Zimmermann e dei Doors. Negli anni ’90 realizza Silent Screams, Difficult Dreams (presentato a Kassel a Documenta IX nel 1992), Sweet Temptations, Universal Copyright 1&9 e Glowing Icons.
Jan Fabre si dice nipote del celebre entomologo Jean-Henri Fabre, ma questa affermazione non è accreditata da altre fonti. Più che di discendenza si tratterebbe, quindi, di una quasi omonimia e di una grande influenza esercitata su di lui. La passione ereditata dal presunto bisnonno per l’entomologia si ritrova, infatti, nei suoi quadri e sculture (la serie Fairy-tales and Spiders o le grandi tele di The flying cock e The road from the Earth to the stars is not smooth). Anche se essi sono agli antipodi in quanto Jean-Henri Fabre era un naturalista che amava rispettare gli animali nel loro habitat naturale e ne rispettava le esigenze e non li trovava possibile oggetto di divertimento o brutale esibizionismo al contrario di Jean Fabre che è noto per le violenze sugli animali durante i suoi spettacoli come effetto visivo. Tra le ultime regie teatrali si ricordano The end comes a little bit earlier this century. But business as usual (1999), As long as the world needs a warrior’s soul (2000, a partire dal testo di Dario Fo Io, Ulrike, grido!), Je suis sang (2001), Het zwanenmeer (2002), Parrots & guinea pigs (2002), Angel of death (2003), Elle était et elle est, meme (2004), Etant donnés (2004), Quando L’Uomo principale è una donna (2004).
Nel 2017 Jean Fabre torna a Venezia accompagnato da tre importanti istituzioni: il GAMeC di Bergamo (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo), l‘EMST – National Museum of Contemporary Art di Atene e The State Hermitage Museum di San Pietroburgo. In laguna Fabre porta la mostra Glass and Bone Sculptures 1977-2017 e qui espone 40 sculture che ripercorrono gran parte della sua vita artistica e mettono in scena la ricerca sul binomio vita-morte, natura-artificio, durezza-fragilità.
Partecipa a Inteatro Festival nell’edizione del 1983 con Questo è il teatro che ci si doveva aspettare e prevedere e del 1984 con The power of theatrical madness